A TGCOM24 il pianista parla del suo ultimo lavoro, “NAPOLI JAZZ SONGS”

A cura di GIANCARLO BASTIANELLI per “Jazz Meeting”

Da “Tu Vuò fa’ l’Americano” di Renato Carosone a “Tammuriata Nera” della Nuova Compagnia di Canto Popolare, passando per “Quanno Chiove” del grande Pino Daniele. Immortali successi della musica, filtrati dal pianoforte di Vittorio Mezza e del suo Trio. Questo e molto altro nel nuovo lavoro del pianista: “Napoli Jazz Songs”.

Vittorio Mezza cura anche gli arrangiamenti del disco, ad accompagnarlo George Koller al basso elettrico ed acustico e Davide Di Renzo alla batteria ed alle percussioni. Un album registrato a Toronto in Canada che propone, in una veste jazzistica, brani che non appartengono solo alla cultura partenopea, ma a tutto il mondo.

Vittorio Mezza ospite questa settimana a “Jazz Meeting” ci ha illustrato la nascita del lavoro suo e dei musicisti…

“Posso dire che mettere insieme il progetto è stato come vivere una sfida di grande fascino, dal momento che come musicista mi trovavo alla ricerca di un equilibrio, tra quelle che erano le versioni “evergreen” dei classici della musica napoletana e la possibilità di intraprendere nuove strade. Quello che ho cercato di fare con il mio trio è mettere in campo un progetto dove potesse emergere l’anima jazzistica dei vari pezzi, arrivando grazie alla collaborazione dei musicisti che mi hanno accompagnato, ad una sorta di “visione a tre” dei vari brani”.

Pur non negando il fascino di questa sfida, immagino non sia stato semplice lavorare sui brani…

Non è stato un percorso facile realizzare con contrabbasso batteria e piano, arrangiamenti non invasivi, che contenessero la nostra visione a tre delle canzoni napoletane in una formazione cameristica. Da una parte c’era l’esigenza del rispetto per la tradizione, dall’altra la necessità di dare il nostro apporto creativo, con lo scopo di far suonare un trio jazz che si confrontava con pezzi così famosi.

L’improvvisazione quale ruolo ha?

Ho ricavato degli spazi per l’improvvisazione dove era possibile, ma rispettando la melodia, tutto questo per consentire a chi ascolta di fruire al meglio della musica, quindi mi sono messo dalla parte del pubblico, pur ricercando anche sonorità nuove, cercando di capire cos’è il jazz oggi, cosa suonare e come suonarlo. Secondo me tutto dipende come viene posto in essere questo sound jazzistico.

Il jazz è anche ricerca…

Per un musicista essere sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo è lecito e comprensibile. Sulla risposta del pubblico posso dire che le presentazioni che ho fatto nei mesi scorsi anche in piano solo, sono andate benissimo, sono rimasto sorpreso dal calore del pubblico soprattutto a Napoli, dove la gente respira musica ad ogni angolo e il pubblico è sempre giustamente esigente.


Recensione all’album LIFE PROCESS per il quotidiano IL MATTINO DI NAPOLI

IL DISCO

Vittorio Mezza.

«Life Process» (Abeat Records/Ird) è il primo album del pianista di Maddaloni, cinque standard (se così si può considerare anche «Quando» di Pino Daniele oltre al repertorio di Coltrane, Monk e Ellington) e altrettante composizioni originali. Classe ’76, diplomato al conservatorio di Benevento, Mezza ha tocco melodico e senso del ritmo, usa bene entrambe le mani ed i pedali, e ha gusto per la progressione da piano solo, anche se non sempre dietro i suoi brani ci sono idee particolarmente strutturate. Non ha paura di misurarsi, trovando qualche motivo di novità, con pagine importanti come «Mr. P.C.» (bella), «Caravan» e «On green dolphin street» anche se un trattamento particolare è riservato proprio a «Quando» che in qualche modo denuncia insieme radici sentimentali e possibilità di un percorso artistico, ormai intrapreso da tempo, eppure solo all’inizio. (f.v.)


Dal quotidiano IL CORRIERE DELLA SERA

VIA DEI GRECI

Mezza e Rea, piano solo per due e percorsi jazz

Doppio concerto di piano solo oggi alle 18 al Conservatorio di Musica «Santa Cecilia» invia dei Greci 18. Percorsi Jazz presenta nella Sala Accademica Vittorio Mezza e, a seguire, Danilo Rea. Mezza, pianista dal tocco raffinato ed elegante, di classe cristallina. Pianismo che attinge sapientemente alla tradizione jazzistica per esplorare nuove frontiere stilistiche e dispiegarsi in chiave autonoma ed originale.


Dalla rivista GIOIA

Scoperte Jazz

Cinque inediti e cinque rivisitazioni di grandi brani (dal jazz di John Coltrane, Duke Ellington e Thelonious Monk all’indimenticabile Quando di Pino Daniele) in Life Process (Abeat Records), il nuovo album di Vittorio Mezza, pianista campano con la musica nell’anima. Da scoprire, per non lasciarlo più. P.M.

Recensione al cd VITTORIO MEZZA TRIO (Abeat Records) per la rivista MUSICA JAZZ, di Michel Alberga 

Una trascinante In Bloom dei Nirvana è la scelta di apertura del pianista di Caserta per dare la bussola del lavoro: jazz suonato, con una forte interazione tra compagni fedeli e rivisitazioni a trecentosessanta gradi del mondo musicale contemporaneo. Così dai Nirvana si passa a Petrucciani attraversando Monk e Shorter, con disinvoltura e soprattutto con uno sguardo sintetico. La cifra stilistica di Mezza si basa su una dimensione di ricerca e di sperimentazione e, anche se il presente lavoro è meno ardito di quello d’esordio, in realtà anche in questo caso è presente una certa coerenza nel percorso musicale delineato. I brani originali (i titoli in italiano) mostrano anche la validità compositiva del pianista. In ultima battuta i compagni di viaggio scelti – Moriconi e Fioravanti – sono veramente una fonte d’ispirazione imprescindibile per il dipanarsi del lavoro, creando spunti contrappuntistici, grooves di ogni specie e incalzante swing dove serve.


Recensione al cd Vittorio Mezza Trio (Abeat Records), di Gianni Montano per JAZZ ITALIA

Vittorio Mezza è pianista ben preparato e con un interesse aperto al mondo del jazz, ma anche ad altre musiche, pop e contemporanee. In più sa scegliere i suoi collaboratori. In questo disco, ad esempio, coinvolge un contrabbassista solido e versatile come Massimo Moriconi, forte anche sullo strumento elettrico e l’altrettanto poliedrico Ettore Fioravanti, batterista leader di vari progetti, fra cui “Belcanto” e con esperienze prestigiose accanto a Gianluigi Trovesi, Paolo Fresu e Paolo Damiani, fa gli altri. Proprio Paolo Damiani ha fatto da apripista a Mezza, reclutandolo per un suo gruppo e ospitandolo a Roccella Jonica a “Rumori mediterranei”, lo storico festival calabrese di fine agosto.

Dopo un cd più sperimentale in duo con Pagni e pubblicato dalla Spasc(H)! ”MP2”, con questa nuova prova il pianista casertano si cimenta in un repertorio più ”tradizionale”, se così si può dire, in ambito “modern jazz” con un repertorio in larga parte originale a cui si aggiungono reinterpretazioni di brani di diversa provenienza stilistica. Si passa, infatti, da “In Bloom” dei Nirvana, con un andamento funky, a “Skippy” di Thelonious Monk, dove gli angoli del linguaggio monkiano vengono smussati e le asperità sono arrotondate. Si continua con una romantica ballad, “Rachid” di Petrucciani, resa con “devozione” verso l’autore, per concludere con la traccia migliore dell’intero lavoro: “Ana Maria” di Wayne Shorter, intensa e toccante. Gli altri cinque brani sono a firma del pianista. In “Tetachords” si può ammirare l’accompagnamento potente e aggraziato di Moriconi. “Afa” procede con un ritmo languido, quasi stanco e suggerisce un clima esterno ben definito dal titolo. Ne “L’abdicazione-Monza 12-9-2006” si colgono collegamenti fra lo stile del leader ed Herbie Hancock. In “Dove l’amore riposa” spiccano una bella introduzione con il solo Fioravanti e il privilegiare le note alte sulla tastiera, da parte di Mezza, nell’apprezzabile dialogo con il basso, attraverso l’uso di un pianismo “liquido”, come si affermava negli anni settanta. Anche “Like a race” si sviluppa con interventi pregevoli dei tre componenti il gruppo e mantiene un’aria classica di un jazz senza tempo.

In conclusione “Vittorio Mezza Trio” si pone come un punto di riferimento per tre musicisti che hanno l’unica ambizione e la sola prerogativa di saper suonare il jazz, senza la pretesa di entrare nella storia di questa musica come capiscuola.


Recensione per la rivista JAZZIT a cura di Eugenio Mirti

NAPOLI JAZZ SONGS

Il lavoro di Vittorio Mezza rilegge in chiave jazzistica alcuni classici della canzone napoletana, a partire da quelli della tradizione popolare come Tammurriata nera e Torna a Surriento fino ad arrivare a Tu vuò fa’ l’americano di Renato Carosone, Quanno chiove di Pino Daniele e a un medley dedicato a Ennio Morricone. La ritmica del progetto è canadese, ed è divertente ascoltare George Koller alle prese con il più classico repertorio partenopeo. Gli arrangiamenti di Mezza sono ben congegnati, non snaturano mai le composizioni di partenza ma le rendono originali e particolarmente originali: brillante rilettura di Tu vuò fa’ l’americano, ritmica e incalzante quella di Tammurriata nera, evocativa la versione di Torna a Surriento, quasi rock Funiculì Funiculà, e così via, in un’ideale passeggiata nelle meraviglie dell’ingegno musicale. Un disco ben riuscito, che dimostra le grandi capacità tecniche e interpretative di Vittorio Mezza e che si riascolta molte volte sia per l’approccio originale a brani molto conosciuti sia per il playing di alto livello.


Recensione per la rivista MUSICA JAZZ, a cura di Alceste Ayroldi

Anche in Canada Mezza non rinuncia ai suoi natali campani, non fa a meno di quel sound che caratterizza il suo tocco. Il pianista di Maddaloni ristora il piano trio scartavetrando le vetustà con le percussioni e il basso senza tasti. Poi prende in mano la summa del repertorio classico napoletano e lo passa la greve setaccio del jazz. Il risultato sono chicchi di grana rossa che lasciano pienamente cantare Renato Carosone con Tu vuò fa’ l’americano, nel quale sventola nitido l’assolo di Mezza che tiene sempre calda l’indimenticabile melodia. Anche Tammurriata nera è ben intinta in veementi improvvisazioni. Ed ecco Torna a SurrientoLacreme Napulitane che respirano di jazz e Dicitencello vuje in up-tempo. Il leader lascia entrare nell’olimpo della classica napoletana anche Pino Daniele con Quanno chiove, il cui sodalizio jazzistico è quasi d’obbligo, brano che fa coppia con il binomio Poverty-Nuovo Cinema Paradiso firmato da Ennio Morricone: la prima tornita dall’intro conturbante di Koller e la second onirica e sospesa. Non manca nulla: Funiculì Funiculà s’apparenta col jazz-rock, per poi lasciar calare il sipario all’intramontabile Reginella.


Recensione di Andrea Romeo al disco ‘’VITTORIO MEZZA TRIO’’ (Abeat Records) per ‘’L’isola che non c’era’’

Già l’idea di affiancare i Nirvana (In bloom) a Monk (Skippy), Petrucciani (Rachid) e Shorter (Ana Maria) nell’ambito di un disco jazz è sicuramente originale; se a questo aggiungiamo i cinque pezzi scritti dal pianista, differenti per ritmo e dinamiche, è chiaro che il panorama musicale di Trio assume coloriture decisamente variegate.

Intanto le esecuzioni, formalmente e tecnicamente impeccabili ma nel contempo ricche di groove nei passaggi più movimentati e cariche di pathos nei momenti più intimisti; un pianoforte dagli accenni romantici, Tetachords, cui si affianca il drumming semplice ma ricco di sfumature di Ettore Fioravanti davvero abile nella scelta dei suoi patterns.

Altrettanto in linea con le scelte pianistiche è il contrabbasso: Massimo Moriconi unisce, alla precisione del tocco, un gusto particolare nel proporre una continua alternanza di pieni e vuoti, giocando spesso con i tempi dispari e “spaiando” le proprie linee rispetto a quelle di Vittorio Mezza, realizzando, ad esempio in Skippy, una sorta di inseguimento dal ritmo serrato e dal virtuosismo spontaneo. Per chi non è strettamente appassionato di jazz, il rischio grosso è quello di “subire” un album senza coglierne le sfumature, con la conseguenza, banale, di giungere a considerarlo troppo uniforme, “piatto”, se ci si passa il termine; con questo lavoro, invece, è chiaro il tentativo di portare in primo piano queste sfumature, di evidenziarle, di farle diventare protagoniste dell’esecuzione.

Ecco che gli accenti, le peculiarità esecutive, diventano allora elementi descrittivi, richiami impliciti ad altri temi musicali che, pur non venendo assolutamente espressamente citati, riemergono dagli ascolti passati: in Afa si coglie, ma è opinione del tutto personale, qualche eco di Estate di Bruno Martino, pur non essendoci espliciti riferimenti, ma solo sensazioni.

Qualche ricercatezza dal sapore un po’ “dark” in Dove l’amore riposa, anche per spostare in avanti il limite dell’esecuzione e sperimentare nuove soluzioni, la diffusa “sofficità” di Like a race, la fusion vagamente sudamericana di Ana Maria completano un quadro decisamente ben realizzato.


Recensione al cd “MP2 Mezza Pagni Jazz Duo” – Splasc(H) Records, a cura di Franco Fayenz

 E’ chiaro che, quando accetto di scrivere le note di copertina per un cd, significa che la musica mi è piaciuta molto. Vale a dire, mi ha ispirato delle idee da tradurre in parole. Ma questa volta è accaduto qualcosa di più. Conoscevo uno dei due musicisti, Vittorio Mezza, per averlo ammirato a Reggio Calabria in apertura del festival 2005 di Roccella Jonica al quale non manco mai. Poi ho letto i due brevi pedigree, il suo e quello di Stefano Pagni che iniziano nello stesso modo: <Diplomato in (…) e laureando in Jazz al Conservatorio S. Cecilia>. A questo punto mi sono disposto nel migliore dei modi, perché, a mio avviso, oggi le biografie dei giovani musicisti di jazz devono cominciare così. E’ finita, cioè, l’epoca eroica dei Grandi Autodidatti: fra i giovani si accettano ormai rare eccezioni soltanto per straordinari e comprovati talenti naturali. Ho ascoltato dunque i dieci brani di MP2 per mezzo di un normale lettore di cd traendone la soddisfazione che mi attendevo, tanto è vero che ho avvertito l’esigenza di riascoltarli in cuffia, in modo da staccare meglio i suoni e sentirmi più solo con la musica dei magnifici due. Non mi accade spesso. Ne ho ricavato impressioni assai vive.

La tecnica perfetta di entrambi, innanzitutto, posta al servizio di una capacità espressiva intensa e adeguata alle esigenze dei singoli brani; il senso del jazz, per nulla posto in ombra dall’esperienza accademica, ma anzi rafforzato; le influenze <altre> (anche orientali, in qualche tratto) talvolta cercate con garbata consapevolezza; la bellezza dei temi scritti da Mezza e l’ottima scelta di quelli di Coltrane, Monk, Mingus, Metheny e Markowitz, fatti propri con evidente originalità. Non credo sia necessario aggiungere altro.


Recensione al cd MMP – Mezza Milzow Project (Abeat Records) di Niccolò Lucarelli per Jazzitalia

È un jazz colto e raffinato quello che sgorga dalle composizioni di Vittorio Mezza e David Milzow, riuniti in un progetto di respiro internazionale che vede coinvolto anche il batterista Ettore Fioravanti. Nella sua ricerca estetica e concettuale, il trio propone un jazz che guarda al blues e alla psichedelica colta, nel solco delle ricerche di Rick Wright con i Pink Floyd. Atmosfere che s’intuiscono già dall’affascinante copertina, che un po’ ricorda Magritte e il suo Impero delle luci, un po’ lascia cadere l’idea di una zona di periferia, non ben identificata, metafora dell’incontro fra jazz e blues cui il trio dà corpo nell’album. Che si apre con il caldo piano elettrico cadenzato di Linea di fuga Blues, affiancato da un brioso sax soprano classicamente newyorkese, che dipinge atmosfere urbane dal sapore contemporaneo.

Nella parte centrale, il ritmo si fa più vivace, e Milzow prolunga di conseguenza i virtuosismi di sax, creando un amalgama particolarmente coinvolgente. A non far sentire la mancanza della profondità orizzontale del basso, provvede il piano elettrico che detta il ritmo con un motivo a cinque note sul registro grave.

Romantico, invece, il pianoforte classico di Younique, affiancato dallo struggente sax tenore, mentre in Run, run, run, il suono celestiale del Fender è affiancato da vibranti percussioni e un sax soprano che volteggia in primo piano, per un brano che si fa metafora dello scorrere dell’esistenza, con suggestioni psichedeliche che ricordano certi passaggi di The Piper at the Gates of Dawn.

Un progetto dalle interessanti sfaccettature, sospeso fra le due sponde dell’Atlantico, dove, a conferire un’aura jazz a quello che è un impianto ritmico fondamentalmente blueseggiante, intervengono i fraseggi di sax, improntati a una sobria eleganza: un inseguirsi fra questo e il pianoforte, ora su atmosfere romantiche (il passaggio di pianoforte in Sera che viene), che ricordano la scuola europea di Liszt e Vlad, ora su atmosfere decisamente urbane vicine a Brad Mehldau o Craig Taborn. E, fra le pieghe dei fraseggi, si avverte una linea sonora “sfrangiata”, quel silenzio fra gli strumenti apparentabile allo stile di Thelonious Monk, che si materializza come una presenza sfuggente, eppure importante nel completare l’atmosfera.

Vittorio Mezza mette ordine nell’album, dettando la tempistica di ogni brano sul Fender, e i sax di Milzow vi portano quella piacevole “anarchia” che scaturisce dai frequenti virtuosismi di scala, eseguiti però in accordo con l’atmosfera dell’impianto ritmico, e cioè con quel carattere “lunare” che invita al silenzio, alternato a fraseggi dalla maestosa concretezza urbana, un tuffo nel caos della Fifth Avenue o nei vicoli del Queen.

Anche il pianoforte, comunque, si prende i suoi spazi, lanciandosi in intensi a solo, condotti prediligendo il registro grave.

Un album che ha un carattere letterario sia nei complessi arrangiamenti, sia nell’eleganza dei titoli delle composizioni, alcuni in inglese, altri in italiano, che richiamano sensazioni, attese, impeti, momenti di solitudine, dell’esistenza umana. Il risultato è un suono americano contemporaneo, intenso e delicato come un romanzo di Rick Moody, che guarda all’esistenza come un qualcosa di meravigliosamente crepuscolare, senza troppe illusioni, consapevole delle zone di buio che si possono attraversare,

Un album dal sound adulto, jazz d’autore che non manca di emozionare l’ascoltatore.


Recensione al cd Vittorio Mezza – Trio (Abeat Records) di Michele Manzotti per ‘’Il Popolo del Blues’’

Good jazz made in Italy: an album written with method and taste

Segnaliamo con molto piacere questo album del pianista jazz campano Vittorio Mezza. Innanzitutto per un corretto equilibrio nella scelta di brani propri con quelli di altri compositori. E poi perché non è certo cosa da poco proporre pezzi di mostri sacri come Thelonious Monk, Michel Petrucciani, Wayne Shorter, e andare oltre il jazz mettendo come prima traccia una composizione dei Nirvana. Mezza è pianista dotato di una bella tecnica accompagnata da un gusto non comune, senza retorica o smania di protagonismo. La melodia è resa al meglio nella sua cantabilità, ma anche le figurazioni veloci, talvolta percussive, non sono mai fine a loro stesse ma permettono la percezione del filo musicale proposto all’ascoltatore. Per fare questo Mezza ha voluto con sé due eccellenti musicisti dalla grande esperienza: Massimo Moriconi al contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria.

Non vogliamo sottolineare troppo le reinterpretazioni di Mezza (anche se In bloom è di sicuro effetto e Rachid è ben sottolineata nel suo lirismo), ma segnalare come Tetachords e Afa siano due tracce di ottima composizione, sospese tra modalità e tonalità, mai banali nello sviluppo. Dove l’amore riposa si basa sul lavoro ritmico di Fioravanti da cui spuntano momenti più rarefatti di pianoforte e contrabbasso, mentre gli accordi di Like a Race si propongono a loro volta come melodia quasi come i corali religiosi. Un lavoro e un musicista a cui auguriamo maggiore visibilità. 


RECENSIONE DI GIORDANO SELINI AL CD “MP2 Mezza Pagni Jazz Duo” – Splasc(H) Records

“Il vibrante zampillare intensivo, che si spinge in avanti con coordinata determinazione e un florido tracimare dall’emozionale ed espugnante dinamismo di un adamantino e decisivo incastonare perentorio in continuità, del pianista Vittorio Mezza, prontamente interfacciato dalle duttili ricuciture in movimento dal brioso e nitido spaziare del contrabbassista Stefano Pagni, si effonde con fulgida efficacia nell’elettrizzante live del cd “MP2”. Il galvanizzante mareggiare munifico e le frastagliate cascate pirotecniche di Mezza si inoltrano con un diretto e dribblante rabescare purpureo che si sbriglia con immediatezza ed espressività in scintillanti cavalcate dalla significativa disinvoltura e dalla naturale freschezza di conduzione per un sorgivo, netto e rigoglioso delineare scalpitante e irresistibile che fluisce in umbratili e travolgenti scalinate e raggianti e subitanee escursioni ben guidate che si esplicitano in un mirifico debordare con mordente e carattere, cui si intreccia il felpato intessere di Pagni dall’incessante sottendere, da cui si libra il mulinare assai coinvolgente di Mezza stesso, che dardeggia con fervida scorrevolezza e marcata energia creativa in propulsivi e sfavillanti tracciati, d’intesa sempre con il caldo ed elastico cardinare in divenire dalle terse e spigliate trame e dal limpido pulsare e intarsiare di Pagni.”


Recensione al cd Vittorio Mezza Trio (Abeat Records), a cura di Gerlando Gatto

Il trio pianoforte – batteria – contrabbasso è forse la formazione più tipica nell’ambito del jazz; con questo organico si sono misurati i più grandi pianisti, da Oscar Peterson a Michel Petrucciani, da Bill Evans a McCoy Tyner.. a Enrico Pieranunzi per approdare sulle italiche sponde. Di qui l’oggettiva difficoltà di proporre qualcosa di nuovo, di stimolante.

Ecco, il pianista Vittorio Mezza affronta questa sfida presentandosi con un trio di assoluto livello completato da Ettore Fioravanti alla batteria e Massimo Moriconi al contrabbasso. Per quanti seguono il jazz, questi due ultimi nomi sono già sinonimo di qualità avendo conquistato una solida reputazione in tanti anni di intensa attività. Mezza, il leader, non è ancora ben conosciuto al grande pubblico nonostante si sia fatto notare già da qualche tempo: così al Roccella Jonica Jazz Festival apre il concerto del Wayne Shorter Quartet e successivamente suona con l’etno jazz ensemble di Danilo Montenegro nel 2005; ha comunque tutte le carte in regola per una bella carriera. Dotato di una solida preparazione di base (si è diplomato e laureato col massimo dei voti in musica jazz al Conservatorio S. Cecilia di Roma), ha affinato la sua sensibilità studiando con musicisti del calibro di Franco D’Andrea, Stefano Battaglia, Paolo Damiani, Dave Liebman, John Taylor..

Il risultato è la musica che possiamo apprezzare in questo CD, una musica raffinata, ben strutturata, altrettanto ben equilibrata tra composizione e improvvisazione e soprattutto corroborata da un interplay che si evidenzia sia nelle composizioni dello stesso Mezza, sia nei brani di alcuni mostri sacri quali Monk, Pertrucciani e Shorter: splendida l’interpretazione dell’”Ana Maria” di quest’ultimo.


Vittorio Mezza racconta Napoli, a cura di Niccolò Lucarelli

Dopo la convincente prova del progetto internazionale con David Milzow, il pianista Vittorio Mezza si dedica alla rilettura in chiave jazzistica di una delle tradizioni musicali più colorate della Penisola, quella napoletana. L’album è pubblicato da Abeat Records.

Raccontare Napoli non è cosa agevole, per quella vastità e complessità che le caratterizzano, da un punto di vista storico, antropologico, sociale. Una realtà composita e difficile, stratificata nei secoli, intrisa di barocco fatalismo e di estemporanea intraprendenza, nonché di quella solare, dolorosa bontà immortalata anche da Curzio Malaparte nei capitoli partenopei del suo crudo e controverso La pelle. È a questo particolare modo di essere che Vittorio Mezza intende rendere omaggio, attraverso una tracklist accuratamente meditata, che abbraccia le origini della canzone napoletana sino ai nostri giorni, una successione di brani che si dipana xx come altrettanti capitoli di Così parlò Bellavista, del partenopeo DOC Luciano De Crescenzo, e che spazia dalla tradizione di De Curtis e Nicolardi ai cantautori più moderni come Renato Carosone e l’indimenticato Pino Daniele, con un’incursione nelle colonne sonore cinematografiche firmate Morricone.

Racconti musicali che dipingono un secolo di cultura napoletana con le sue vicissitudini, non ultima l’emigrazione e la conseguente nostalgia della Patria. Undici brani da cui scaturiscono emozioni forti legate alle più svariate e intense situazioni della vita, quali l’amore, la passione, il legame con la terra natia e la sua bellezza, la partenza in cerca di fortuna e il difficile adattamento in un Paese straniero. Ironicamente ma non troppo, è su questi due ultimi aspetti che si sofferma Renato Carosone nel suo Tu vuò fa’ l’americano, brano ormai storico e pietra miliare dello swing italiano. Mezza lo rilegge con il medesimo brio, e i contrappunti pianistici infondono concretezza a un brano “spensierato”.

Il momento più intenso dell’album arriva con l’ottava traccia, un medley di tre brani da altrettante colonne sonore: Poverty (dallo straordinario C’era una volta in America), seguito da Nuovo Cinema Paradiso e Tema d’amore, tratte dal poetico film di Giuseppe Tornatore. Le distorsioni di Koller donano un’atmosfera urbana a Poverty, che quasi dipingono le tenebre dei vicoletti di Little Italy sorpresi dalla notte. Il pianoforte di Mezza interviene con levità in Nuovo Cinema Paradiso, carico di struggente nostalgia. Appena più vivace, l’appassionato Tema d’amore, dove il pianoforte dialoga con le percussioni. Tre brani legati nell’album, ma anche, di per se stessi, dal tema della lontananza, del distacco, della nostalgia per la terra d’origine. Sta qui la chiave dell’album, che esprime anche interessanti notazioni sociologiche, riflettendo su quell’italianità che continua a sopravvivere all’estero, nei figli e nei nipoti dei nostri emigranti di tanti decenni orsono. In questo senso, si può interpretare il lavoro di ricerca di Vittorio Mezza anche come un omaggio all’italianità che, anche all’estero, riesce a conservare i suoi caratteri distintivi, che si ripercuotono anche nella solare passione per la musica e il canto.


Dal giornale L’UNITA’

Vittorio Mezza

Pianoforte solitario

Cinque inediti e cinque standard (Coltrane, Monk, Ellington) per entrare nel mondo del pianista e compositore campano. Musicista capace di muoversi con disinvoltura fra consulenze in RAI, collaborazioni a musical e insegnamento al Conservatorio di Reggio Calabria, e poi tornare al jazz per raccontarsi in libero e solitario confronto con il suo pianoforte. P.O.


MMP – MEZZA MILZOW PROJECT (Abeat Records), recensione a cura di Eugenio Mirti per la rivista JAZZIT 

Il Mezza Milzow Project è caratterizzato da due anime musicali diverse: da un lato c’è una grande energia che viene spesso incanalata in brani dalle brillanti trame ritmiche (funk, tempi dispari, ostinati sui bassi, e così via) che vedono al loro interno anche elementi avantgarde e free. Dall’altro, non mancano momenti più delicati e suggestivi come Younique, o Deep, una composizione caratterizzata dall’uso del piano Rhodes. Nell’insieme un lavoro originale e ispirato.


Recensione al cd “MP2 Mezza Pagni Jazz Duo” (Splasc(H) Records), a cura di Vittorio Lo Conte per ALL ABOUT JAZZ

Un’altra interessante incisione, realizzata dal vivo, per la Splasc (H). A realizzarla sono il pianista Vittorio Mezza ed il contrabbassista Stefano Pagni, ambedue diplomati nei rispettivi strumenti presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma.

La musica che eseguono è complessa, così come lo sono i linguaggi contemporanei. Gli echi di musiche accademiche o del jazz più ortodosso si mischiano all’interno di John Coltrane, Thelonious Monk o Pat Metheny. Il tutto viene destrutturato e ricomposto, riversandovi dello swing o negandolo, in un continuo gioco di botta e risposta con le aspettative dell’ascoltatore, a cui appaiono pezzi di temi che poi vengono ricuciti lasciando il piacere di riconoscere l’autore originale. Un lavoro che richiede molta perizia da parte degli esecutori.

Fra le interpretazioni più interessanti ci sono “Sno’ Peas” di Phil Markowitz, eseguita senza lasciare troppo da parte le intenzioni originarie del compositore ed il finale “Theme for Ayrton”. In mezzo a idee che vengono dai suoi pianisti preferiti (Paul Bley, Keith Jarrett, Cecil Taylor) Mezza cerca una propria via e MP2 è più punto di passaggio che di arrivo. All’interno della sua musica c’è un motore evolutivo che è ricco di domande cui le risposte arrivano ancora in modo parziale. È chiaro fin da adesso che non manca la fantasia e la tecnica per completarle.


Dalla rivista MADRE

Napoli in Jazz

Pianista, compositore, arrangiatore, docente di musica, il quarantenne Vittorio Mezza è uno dei personaggi di spicco del jazz italiano. Si esibisce regolarmente in Italia e in varie parti del mondo, dall’Australia al Sudafrica. A Toronto, in Canada, Mezza ha inciso insieme al contrabbassista George Koller e al percussionista Davide DiRenzo, un album in cui sono arrangiati e riproposti in chiave jazz undici grandi successi ispirati a Napoli. Scorrendo la lista si scorrono titoli celeberrimi come Tu vuò fa’ l’americano, Torna a Surriento, Era del Maggio, Funiculì Funiculà, Reginella. Non mancano un omaggio alle colonne sonore del cinema e a Pino Daniele. Sono melodie immortali che si prestano ad essere plasmate e genialmente arrangiate senza che si perda il loro fascino originale. Soprattutto se a farlo è Mezza, un artista con una solida formazione al Conservatorio di Santa Cecilia, che sa trattare la musica con amore e rispetto.


Recensione per la rivista ALIAS IL MANIFESTO, a cura di Guido Festinese

Jazz Italia

Il pianoforte colorato di rosa

Alla quinta uscita discografica (in un mercato che brilla, è il caso di dire, per opacità di attenzione verso i nuovi musicisti interessanti), il pianista Vittorio Mezza propone la difficile scelta del pianoforte solo. Il jazzista casertano, docente in diversi conservatori (e autore di un valido volume tecnico per pianisti jazz) ha dalla sua una diteggiatura sontuosa, e un tocco percussivo mai banale, frutto evidente degli ascolti e degli studi di Monk, Bley, dei due Taylor, John e Cecil. Il che non significa che il nostro non sappia anche «reinventare» una splendida ballad contemporanea come Quando di Pino Daniele, nel suo Life Process (Abeat Records).


Recensione al cd NAPOLI JAZZ SONGS per la rivista AUDIOPHILE, di Marco Sonnino

La canzone napoletana rappresenta una sorta di tormento freudiano (!) nelle nostre teste, di ‘amore e odio’. Fin da quando siamo nati, le melodie napoletane ci tormentano…e ci ricordano le nostre radici anche se siamo originari di Bolzano o Firenze…È anche il tipico esempio di musica che si ascolta quando andiamo in una pizzeria di Berlino o un ristorante italiano a New York. C’è poco da fare. Come sottolinea giustamente l’interprete di questo disco Vittorio Mezza ‘’probabilmente non c’è un luogo al mondo in cui non sia stato anche solo accennato, più o meno goffamente, il ritornello di una canzone napoletana’’. Niente di più vero.

Che ci sia ancora da dire in queste melodie lo dimostra questo disco nel quale il pianista di origini casertane Mezza si è cimentato in versioni più o meno jazzate dei classici Napoletani. Registrando a Toronto con l’aiuto di due validi musicisti canadesi, Mezza non stravolge gli originali e lascia intatte le melodie ben note delle canzoni più famose, inserendo nel potpourri anche Quanno chiove di Pino Daniele e Nuovo Cinema Paradiso di Ennio Morricone. Non è un disco sussurrato, la tecnica pianistica è ritmica e pulsante per energizzare le esecuzioni e conferire rinnovata energia.

In sostanza un divertissement nostalgico e allo stesso tempo istruttivo per chi non possiede ancora alcune delle più famose canzoni napoletane o magari – per motivi spiegati prima – era un po’ allergico a tale genere musicale e ha deciso di recuperare. Sicuramente il trio sarà apprezzato a Toronto nei concerti che hanno seguito la registrazione, perché si sa, di Italiani nel mondo ce ne sono ovunque, e Napoli è sempre Napoli…


From THAT CANADIAN MAGAZINE, review to MANCUSO | MEZZA – DANCES IN MY MIND, by Raul Da Gama

Dominic Mancuso’s reputation could have rested on his Juno Award-winning Comfortably Mine [DOT Productions, 2010] alone. However, he continued his passionate musical exhortations on his next album, Sub-Urban Gypsy [2014] and, just when you thought he couldn’t possibly go much further he has turned in a magical performance on Dances in My Mind. This ambitious-sounding repertoire consists of some older music reimagined on a larger – orchestral – canvas as well as what appears to be more recent music. Both groups of songs have been further uplifted in the presence of Mr. Mancuso’s regular Group as well as with some rather special musical guests, including the pianist Vittorio Mezza, whose arrangements and extraordinarily empathetic pianism is heard all over this music.

Throughout, Mr. Mancuso displays his natural abilities for composition and prodigious vocal gifts, his gravelly, big-boned and often long-limbed voice is stretched to its limits and then – remarkably – to a place that can only be described as a rarefied realm. On each song Mr. Mancuso seems to reach new pinnacles of performance. The opener, “Dances in My Mind”, takes a fresh look at this older piece and features his regular [Dominic Mancuso Group]. It is joyously upbeat and sets the tone for all the rest of the spectacular music to follow.

The following song, “Memamenamò” has been re-scored for performance with a superb string quartet that includes the ubiquitous – and quite brilliant – violinists Drew Jurecka, Rebekah Wolkstein, violist Claudio Vena and the cellist Lydia Munchinsky. A series of wonderful songs ensue including the slightly mysterious ballad “Milano”, which is edged with a somewhat rueful feel. This song also features the superb Quisha Wint, a lustrous vocalist, who also appears on several other songs, on which she leaves her own inimitable seductive imprint. I would be remiss if I did not mention the stellar performances by Mr Mancuso’s guitarist Tony Zorzi and pianist Jerry Caringi, as well as the horn-ubermeister John Johnson, bassist Paco Luviano, percussionist Chendy León and the other superb musical guests – all of whom play with idiomatic elegance.

Throughout this repertoire, Mr. Mancuso rings in the changes in mood, structure and tempo, making for a constantly interesting programme. The considerable degree of balance and integration of melody, harmony and rhythm, of composition and improvisation and, most of all, the elements of individuality and exploration are impressively maintained throughout. This is a performance for the ages, one that bodes well for whatever new music is to come from the extraordinary mind – and vocalastics – of Mr. Mancuso. 

Track list – 1: Dances in My Mind; 2: Menamenamo; 3: Blissful State of Mind; 4: Live and Let Live; 5: Night Drive; 6: Her Simple Truth; 7: Milano; 8: Lu Scuru; 9: Think of Me; 10: Salvatore; 11: No War

Personnel – The Dominic Mancuso Group – Dominic Mancuso: vocals; Jerry Caringi: Hammond B3 organ, accordion and vocals [1, 2]; Tony Zorzi: guitars; John Johnson: saxophones and bass clarinet; Paco Luviano: bass; Chendy León: drums and percussion. Featuring – Vittorio Mezza: arranger, piano, celeste and Fender Rhodes; Kevin Turcotte: trumpet; Michael Davidson: marimba and vibraphone; George Koller: contrebasse [4]; Quisha Wint: vocals [1, 2, 4, 5, 7]; Sam Mellace: vocals [2]; Mark Schiavello: vocals [2]. String Quartet – Drew Jurecka: violin; Rebekah Wolkstein: violin; Claudio Vena: viola; Lydia Munchinsky: cello


MEZZA GINSBURG ENSEMBLE – CONVERGENCE, reviewed by Barry O’Sullivan for JAZZ & BEYOND

Convergence is a musical conversation between a group of meritorious musicians including Vittorio Mezza a jazz pianist with strong classical roots and a love of Mediterranean life, and the South African born Australian based saxophonist Mark Ginsburg who has influences from his strong Jewish roots and an African heartbeat. Making music together is about allowing these musical contrasts to blend into something new, occasionally clashing and at times overlapping.

In this session they are joined by a rhythm section consisting of Luca Bulgarelli on bass, Marcello Di Leonardo on drums and Fabian Hevia on percussion delivering a collection of ballads, slow-burning mood pieces and pulsating ensemble passages, mostly composed by Mezza with four contributions from Ginsburg. The two men like to tinker with the musical atoms, and sometimes subatomic particles, and for the most part they create successful explosions of musical harmonies that give the remaining improvisors something to dig into.

The addition of Bel a cappella and some glorious choral and vocal arrangements from Judy Campbell with the smooth nightingale voice of Justine Bradley add a huge atmospheric effect on several tracks. Ginsburg is a nimble player with a well-rounded, centred unique tone on his tenor. Just listen to the tracks Big Sea and Nostalgia to gain cognisance of his expertise. On the soprano saxophone he proves himself to be a gilt edged musician glowing with luminescence.

This is best exemplified on his compositions For You as well as Common Purpose and on Mezza’s Affezioni and Solipsismo A Strati. The recording quality of this album is excellent with a good clear tone, timbre and a dynamic range on all the instruments and voice over the fourteen tracks. This a real bonus if your passion is brilliant ensemble playing and surprising arrangements infused with diaspora featuring excellent solos from a group of accomplished musicians.


MEZZA GINSBURG ENSEMBLE – CONVERGENCE, review from Vinylfan.de

Wie definiert man Schönheit von Klängen? Sicherlich hat dazu jeder Musikfreund eine andere Antwort parat. So auch der italienische Pianist Vittorio Mezza und der Saxophonist Mark Ginsburg aus Südafrika: zwei sehr unterschiedliche Künstler zeigen uns ihre eigene Version und präsentieren uns mit „Convergence“ eine Schallplatte, die vieles vereint. Die Review zu einer bemerkenswerten LP!


MEZZA GINSBURG ENSEMBLE – CONVERGENCE (LP, 180G VINYL)

Um die Eingangsfrage aufzugreifen: die Basis für einen guten Klang schafft natürlich erstmal eine hochwertige Aufnahme. Hierbei hat sich das Plattenlabel Ozella Music längst einen hervorragenden Namen gemacht. Manche Vinyl-Fans kaufen mittlerweile blind jede neue LP aus dem Hause in Borchen. Auch „Convergence“ ist klanglich ganz vorzüglich und weit über dem Durchschnitt heutiger Veröffentlichungen – selbst im Jazzbereich, der ja durchwegs mit gelungenen Platten aufwartet. Damit ist bereits ein Schritt in Richtung schöner Klang getan, aber es kommt noch mehr!


SINNLICH – IN JEDER HINSICHT VORZÜGLICH

Mezza Ginsburg Ensemble Convergence Vinyl OZ1084LP Dieses Mal begab man sich zunächst nach Italien, um im Tube Recording Studio aufzunehmen. Diese Location in der Nähe von Rom (genauer: Fara in Sabina) ist für seinen warmen und feinsinnigen Sound bekannt, der von vielen Musikern sehr geschätzt wird. Vittorio Mezza und Mark Ginsburg wurden von dem Bassisten Luca Bulgarelli, dem Schlagzeuger Marcello di Leonardo und Fabian Hevia an den Percussion unterstützt.

Dann ging die Reise um die halbe Welt nach Sydney, um dort noch mit dem Ensemble Bel a Cappella und der Sängerin Justine Bradley die Chor- und Sologesänge einzuspielen.

Und hier setzt wieder der Faktor „schöner Klang“ an, in diesem Fall allerdings von seiner musikalischen Seite. Die LP beginnt mit einem reinen Chorgesang, das Intro dauert knapp über einer Minute. Dann beginnen mit Schlagzeug und Bass sowie dem Piano die ersten Takte von „Afa“, ehe das Tenorsaxofon von Mark Ginsburg eine wunderbare Melodie anstimmt – im Hintergrund noch immer der Chor. Diese entspannte Nummer gibt schon mal den Weg vor, den dieses Ensemble in den nachfolgenden sieben Tracks nur unwesentlich verlässt. Ab hier allerdings spielt die Band bis auf die Nummer „Big Sea“ ohne weiteren Gesang, also rein instrumental.

Vom Piano spielerisch leichtfüßig ausgestaltet und durch das Saxofon sinnlich intoniert, ergaben sich geschmackvolle Eigen-Kompositionen der beiden Leader. Mal als Ballade, mal im Walzer-Takt und mal mit sanften Groove, der den Zuhörer zum Mitwippen animiert. Für mich hat das Ganze viel Wärme und mediterranes Feeling – ja, es hat Stil und Klasse. Zumal die Band geschlossen und harmonisch wirkt, die Soli sind immer in der Melodie eingebunden.

Der Aufnahmeort in Italien scheint ganz hervorragend zu dieser Musik zu passen. Ein Glas Rotwein und eine hochwertige Musikanlage, deren Mittelpunkt – der Schallplattenspieler – eine LP auf dem Teller zu liegen hat, die Genuss pur darstellt. Zumal auch die Pressung erstklassig ist – eine rundum empfehlenswerte Veröffentlichung!


 MEZZA GINSBURG ENSEMBLE – CONVERGENCE, Austrian review from www.concerto.at

Ozella Music.Vertrieb: Galileo MC

„Convergence” bedeutet Zusammen­fließen, und in der Tat vereinigt sich hier mediterranes Lebensgefiihl (der Pianist Vittorio Mezza) mit südafrikanischen Roots (der Saxofonist Mark Ginsburg). Die sehr sinnlichen Kompositionen beider  Protagonisten wurden  mit italienischer  Band  in  der Nähe von Rom aufgenommen, und als besonderer Touch kamen noch die Vokalarrangements von Judy Campbell für ihren in Sydney beheimateten Chor Bel A Cappella hinzu. Sehnsuchtsvoll, in satten  Klängen schweigend, geht diese Musik hinumer wie ein leichter Chianti den man trinkt, während  die Sonne langsam untergeht.  Das ist dem Wohlklang verpflichteter Contemporary Jazz, der besonders, wenn  Mezza und Ginsburg mit Keyboards und Sopransax zugange sind – knapp an der Kitschgrenze vorbeischrammt. 

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